Fonte: Il Pungolo Rosso, 25/10/2018
Il Cuneo rosso – Gruppo comunista rivoluzionario – Pagine marxiste
Alla prospettiva dei “sovranisti” di destra e di sinistra, che è catastrofica per i lavoratori di tutto il mondo, contrapponiamo il fronte unico proletario anti-capitalista, internazionale e internazionalista!
Dalla sua nascita fino ad oggi, il governo Lega-Cinquestelle gode di
un largo consenso popolare. Ha saputo accreditarsi come un governo che
sa affrontare a muso duro i “poteri forti”, anzitutto l’UE. Un governo
che comincia finalmente a restituire ai lavoratori qualcosa di ciò che è
stato loro rapinato in trenta e più anni di “austerità neo-liberista”
targata centro-destra e centro-sinistra. La decisione di “tirare dritto”
dopo che Bruxelles ha bocciato la finanziaria per il 2019 rafforza
questa immagine. La rafforza anche tra le organizzazioni politiche e
sindacali della sinistra non (ancora) parlamentare, per le quali il
governo Salvini-Di Maio sarebbe addirittura un governo “progressista” da
sostenere nel suo conflitto con i suddetti “poteri forti”, o rispetto
al quale restare neutrali.
Si tratta di un colossale abbaglio, se ci riferiamo ai lavoratori comuni, di una canagliata, se ci si riferisce a ex-militanti di sinistra. Il “sovranismo”, il nazionalismo “populista”,
in nome del quale il governo in carica conduce la sua politica sul
modello-Trump, è una prospettiva catastrofica per i lavoratori. Perché
si basa su una ricetta – “Prima gli italiani”, “America First”, “Prima i
francesi”, etc. – che spinge gli sfruttati gli uni contro gli altri in una concorrenza al ribasso da cui hanno tutto da perdere. Incluse la libertà di lottare per sé, la dignità e, a tempo debito, la vita.
Del resto, se si hanno gli occhi per vedere, il primo importante provvedimento di questo governo, il decreto-Salvini, parla chiaro. Anzi, chiarissimo. Perché:
- Costringe centinaia di migliaia di richiedenti asilo e di lavoratori immigrati a restare senza permesso di soggiorno, condannandoli al super-sfruttamento e alla povertà;
- Colpisce le lotte per la casa e le lotte operaie, in particolare quelle dei facchini della logistica, introducendo pene durissime contro gli occupanti di case e gli autori di blocchi stradali, e con ciò cerca di intimidire ogni futuro movimento;
- Regala alle organizzazioni mafiose la possibilità di riacquistare i beni loro sequestrati e mette nelle loro mani un altro po’ di immigrati privi di tutto da usare e buttare all’occorrenza.
Noi saremo in piazza il 27 ottobre a Roma anzitutto contro questo decreto e la politica razzista del governo Lega-Cinquestelle
che con i mezzi più infami cerca di scagliare i proletari italiani
contro i proletari immigrati, per favorire, con la loro divisione, il
massimo sfruttamento degli uni e degli altri da parte delle imprese,
legali e “illegali”, di ogni tacca. “Prima gli italiani”? (sottinteso: i
più bisognosi tra gli italiani). Macchè. Prima i capitalisti, i
palazzinari, le false cooperative, i “poteri forti” (a proposito…) della
logistica e della malavita organizzata! E poco importa se sono italiani
o stranieri, dal momento che proprio sotto questo governo, il
capitalismo made in the USA sta facendo man bassa di imprese –
ultime il Milan, la Versace e la Magneti Marelli. E, si badi bene sempre
a proposito di “poteri forti”, l’UE non ha fatto alcuna obiezione al
decreto-Salvini perché condivide in pieno la guerra senza tregua agli
emigranti e agli immigrati di cui si vanta il governo fasciostellato,
che è una guerra a tutti gli sfruttati – prima lo comprendiamo, meglio è.
Ma il 27 ottobre saremo in piazza a Roma anche contro la “politica sociale” della banda Salvini-Di Maio.
Perché, nonostante l’assordante battage propagandistico su altri temi,
gli elementi centrali di tale politica sono: la sostanziale conferma
delle infinite agevolazioni fiscali al grande capitale varate dai
governi precedenti; il largo condono a padroncini, commercianti e
professionisti evasori (del resto, la Lombardia, terra di insediamento
storico della Lega, “è la terra degli evasori“,
lo ha certificato il procuratore di Milano, Greco); l’abbassamento
dell’aliquota fiscale per le nuove imprese fino al 5% per 5 anni, mentre
la tassazione minima dei salari operai resta al 23%, quindi aumenta il fiscal drag. E per il biennio 2020-2021 sono previsti l’aumento dell’Iva e altri capitoli della flat tax, di cui curiosamente nessuno parla. Questa politica fiscale ha un inequivocabile segno di classe pro-capitalista.
Il reddito di cittadinanza e l’uscita pensionistica anticipata hanno forse un segno opposto? No.
Il “reddito di cittadinanza”, giustamente ridenominato da più parti reddito di sudditanza,
è un amo avvelenato. Come in Germania le misure dell’Hartz IV su cui è
modellato (al ribasso), darà qualcosa (si vedrà quanto, probabilmente un
obolo), a tempo (si vedrà per quanto tempo), a un po’ di persone in
difficoltà (si vedrà a quante); ma lo fa con lo scopo di rendere i
precari, specie i giovani, sempre più ricattabili costringendoli ad
accettare qualsiasi tipo di lavoro e in qualsiasi luogo, perché se non
l’accettano, perdono anche il sussidio. Con 780 euro come tetto massimo,
si istituzionalizza la povertà, altro che abolizione della
povertà! Servirà semmai a normalizzare il lavoro al nero e il lavoro
gratuito obbligatorio, cioè proprio quei rapporti di lavoro che
mantengono le persone nella povertà o a rischio di povertà. E in
sovrappiù creerà un controllo statale soffocante sui più poveri,
minacciati dal giustiziere Di Maio di beccarsi fino a 6 anni di carcere
se faranno spese “immorali” (gli indigenti, si sa, sono sempre inclini
all’immoralità, a differenza dei benestanti, morali per definizione).
Evidentemente, non gli bastava avere reintrodotto i voucher tanto cari a
Renzi&Co., altra efficacissima misura anti-povertà…
La stessa “quota 100” per andare in pensione servirà più alle imprese che ai lavoratori:
perché mentre la pensione dei lavoratori sarà tagliata, da un minimo
dell’8% fino al 21%, le imprese potranno sostituire i pensionati, se li
sostituiranno, con stagisti e precari che a loro costeranno molto di
meno. Tria ha confessato che molti imprenditori gli hanno raccomandato
questo provvedimento per ridurre i costi del personale e aumentarne la
produttività. Per non parlare del fatto che, molto probabilmente,
l’esodo maggiore sarà dal pubblico impiego (i medici anziani in prima
fila), e poiché non sono previste nuove assunzioni (salvo che nella
polizia), si produrrà un peggioramento dei servizi, specie nella sanità
pubblica.
C’è poi una questione fondamentale: una volta di più, a pagare le
spese per le mancate entrate del condono agli evasori, per gli incentivi
alle imprese, per il reddito di sudditanza e le pensioni anticipate
sarà l’insieme dei lavoratori. Come? Con l’aumento del debito di stato – che è un debito di classe fatto dai capitalisti e dallo stato per proteggere gli interessi del capitale, ma pagato dagli operai e dai salariati.
Solo nel 2017, lo stato ha pagato ai suoi creditori, che non sono di
sicuro dei nullatenenti, 65 miliardi di euro di interessi! – una valanga
di euro che ha riempito le casseforti delle banche e svuotato le tasche
dei lavoratori.
L’UE, il FMI, la Confindustria fanno delle critiche al governo perché
pretenderebbero misure anti-operaie ancora più drastiche. L’UE in
particolare fa pressione su Roma anche perché teme che il piano
nascosto del governo italiano sia quello di far saltare in aria l’euro.
Salvini&Di Maio resistono in parte a questa pressione – meno di
quanto le loro roboanti dichiarazioni fanno credere – perché sanno che
tra i lavoratori a cui hanno promesso mari e monti, c’è un enorme
malcontento che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Per questo
preferiscono rinviare la stangata violenta a maggio-giugno
2019. La nuova manovra lacrime e sangue è pronta nei loro cassetti. Il
più fesso della compagnia, Conte, l’ha ammesso in tv la sera del 22
ottobre: nel caso ci siano difficoltà di bilancio, ha assicurato, faremo
una manovra correttiva che comporterà sacrifici. Ha detto proprio così: sacrifici.
Facendo ricomparire il tema-chiave, la lugubre parola-chiave degli
ultimi trent’anni. Più abile, Salvini, ha detto la stessa cosa in modo
accorto: nel caso ci siano difficoltà, “non faremo alcuna patrimoniale“,
cioè non toccheremo i miliardari e i milionari. Ma se non saranno
toccati i capitalisti e i superparassiti, chi pagherà il conto ai
creditori-avvoltoi dello stato? Lo stesso Bannon, il consigliori yankee
del governo, ha avvertito i suoi assistiti: dovete tener conto dei
“mercati”, a cominciare dai tre colossi finanziari statunitensi che
hanno nelle loro mani la Borsa di Milano (e 3/4 del governo). Il
ragionier Tria garantisce che se ne terrà conto: nel caso, promette,
taglieremo le spese. Le spese sociali, si capisce (per intanto
già sono stati tagliati 100 milioni alla scuola, il resto verrà). A
nessuno di costoro può venire in mente la soluzione proletaria: disconoscere il debito di stato!
Insomma: se il FMI, l’Unione europea, le Borse sono nemici giurati dei lavoratori,
lo è altrettanto questo governo di razzisti, repressori, truffatori e
bari che ha con loro qualche attrito, ma non certo nell’interesse dei
lavoratori. Saremo in piazza a Roma il 27 ottobre contro FMI, UE e
Borse, ma anche contro la demagogia e il “populismo” di questi
travestiti da Robin Hood che operano per scagliare lavoratori italiani
contro altri lavoratori italiani, lavoratori italiani contro lavoratori
immigrati e contro lavoratori degli altri paesi europei, della Cina e
degli altri continenti, in una spirale di competizione e di scontro che
preannuncia, oltre le guerre commerciali, guerre vere e proprie di
inimmaginabile distruttività.
A proposito di “poteri forti”, vi dice qualcosa la parola NATO?
Ebbene, noi che ne ricordiamo la potenza e il suo storico ruolo
criminale, saremo in piazza contro questo governo che chiude i suoi porti agli emigranti e li spalanca alla NATO,
facendo propri i progetti statunitensi di guerra nel Mediterraneo.
Contro questo governo che aumenta la spesa militare e intensifica
l’aggressione ai popoli dell’Africa e del Medio Oriente. E fa del
militarismo, della repressione delle lotte sociali, e dell’autoritarismo
nelle scuole, nelle città, nei luoghi di lavoro, la sua bandiera.
Saremo in piazza contro questo governo fascioleghista che un passo dopo l’altro ha aperto una guerra reazionaria contro le donne,
il loro diritto al lavoro extra-domestico, il loro diritto
all’autodeterminazione e all’aborto assistito; che avalla la violenza
domestica, riproponendo una concezione della famiglia ripresa dalla
tradizione fascista così cara al ministro “competente” in materia. Un
governo che è spietato con le donne che emigrano dall’Africa,
consegnandole nelle mani degli aguzzini dei campi di concentramento in
Libia, Niger, etc.
Saremo in piazza il 27 a Roma contro questo governo anti-ecologico che,
fregandosene del tutto della messa in sicurezza dei tanti territori
fragili di cui è costellata la penisola, rilancia le “grandi opere”
utili solo alla grande corruzione di stato e ai profitti delle grandi
imprese; che è il governo del sì-Tap, sì Ilva (senza nessuna seria
protezione degli operai e dei cittadini di Taranto), e anche,
probabilmente, del sì-Tav; il governo sotto il quale sta crescendo – nel
silenzio generale – la massa degli infortuni e dei morti sui luoghi di
lavoro.
Mentre alcune componenti della sinistra “estrema” e del sindacalismo
di base, chi più chi meno, ricercano con questo governo un dialogo da
collaboratori subalterni, il SI Cobas ha osato chiamare alla lotta contro di esso senza se e senza ma.
Le giornate del 26 e del 27 ottobre danno un nuovo significato, una
nuova efficacia agli stessi scioperi generali autunnali del sindacalismo
di base, che fino a qualche anno fa erano quasi sempre relegati a una
sterile, autoreferenziale testimonianza dei cicli di lotta passati ed
esauriti. Questo avviene anzitutto grazie alle lotte e alle
mobilitazioni di nuove generazioni di operai, in larga parte immigrati.
Il fatto che la quasi totalità del sindacalismo di base (CUB, SI Cobas,
Adl Cobas, Slai, USI, Sgb) abbia indetto uno sciopero generale per il 26
ottobre, mentre Cgil-Cisl-Uil restano ferme a guardare le manovre del
governo, è indicativo di una chiara scelta di campo: da un lato
chi non intende piegarsi allo stato di cose esistente e che, come ieri
chiamava alla mobilitazione contro i governi a guida PD, oggi fa
altrettanto contro le politiche reazionarie di Lega e 5 stelle;
dall’altro chi, come i vertici di Cgil-Cisl-Uil-Ugl, si piega in maniera
servile davanti alle esigenze padronali (vedi il cosiddetto “patto
della fabbrica” siglato nel marzo 2018), e concede anche al governo
Lega-Cinquestelle una tregua a tempo indeterminato. Anche i vertici
dell’Usb si guardano bene dal proclamare una sola ora di sciopero contro
il governo, pur di lasciare aperta la porta alla possibilità (tanto
inquietante quanto delirante) di proporsi come sponda politico-sindacale
al governo Conte – gli esiti disastrosi di tale decisione sono stati
già visibili nella vertenza-Ilva a Taranto, suggellata da un referendum
in cui, senza una sola ora di sciopero, padroni e sindacati firmatari
hanno estorto alla maggioranza degli operai un “SI” con la pistola
puntata alla tempia.
A fronte di questa chiara divisione dei campi le realtà politiche che
si richiamano all’anticapitalismo e all’internazionalismo sono
chiamate, tutte, a schierarsi in maniera altrettanto chiara.
Laddove, come oggi, è in gioco l’agibilità delle lotte e lo stesso
diritto di sciopero, richiamarsi a un’astratta unità “di tutti” facendo
finta di non vedere la profonda divaricazione di contenuti, di percorsi,
di pratiche e di prospettiva che oggi attraversa tanto il movimento
sindacale quanto il campo degli attivisti politici, significa assumere
una condotta opportunista che non aiuta lo sviluppo di un fronte di
lotta più ampio. Il necessario ampliamento del fronte di lotta
non può passare attraverso gli appelli a mini-burocrati sindacali e
mini-capi politici che non ne vogliono assolutamente sapere di lottare
contro il governo e contro il padronato, ma attraverso il coinvolgimento
e l’attivizzazione di contingenti sempre più vasti di proletari e di
giovani oggi disorientati e passivi. Benvenute dunque le giornate di
lotta del 26 e del 27 ottobre che non saranno affatto, come scrive
qualche mascalzone, delle entità invisibili.
Anzi, è proprio grazie alla spinta che viene dalle mobilitazioni
operaie di questi anni con in prima fila i proletari immigrati, e alla
spinta che viene dai primi scioperi internazionali, dalle lotte operaie,
contadine e popolari del Sud del mondo (dalle indomite masse
palestinesi per prime), da imponenti manifestazioni antirazziste come
quella del 13 ottobre a Berlino e da non meno imponenti cortei di donne
in lotta, è giunto il momento di iniziare a lavorare con determinazione,
in modo sistematico, per la rinascita di un’organizzazione
internazionalista rivoluzionaria degli sfruttati che sia all’altezza dei
tempi, e precorra e accompagni la nascita di un nuovo movimento
proletario.
Siamo oggi in un passaggio-chiave della situazione economica e politica internazionale.
Con l’avvento di Trump e dei suoi alla Casa Bianca la competizione
inter-capitalistica e inter-imperialista si è violentemente acutizzata. E
si acutizzerà ancora di più se gli Usa attueranno per davvero la
denuncia dei trattati militari con la Russia. È evidente, poi, che
Washington, mentre lavora a indebolire e disgregare l’Unione europea, si
prepara a urti sempre più frontali con la Cina.
La grande crisi del 2008 è stata parzialmente “superata” solo con
mezzi che hanno gettato le basi per una crisi di proporzioni ancora più
devastanti che appare ormai all’orizzonte, e darà il colpo definitivo al
vecchio ordine politico internazionale. In questo contesto, le
politiche “populiste” e “sovraniste”, cioè nazionaliste, di
destra e di sinistra, che promettono l’uscita dalla crisi dei singoli
paesi attraverso politiche “espansive” costituiscono una grande, tragica truffa
che serve solo a tentare di compattare i lavoratori di ogni nazione
dietro i propri sfruttatori nell’illusione di salvare la pelle.
Viceversa è questo il modo più sicuro per perderla. La storia dice
che il percorso su cui è avviato il capitalismo globale è un percorso
obbligato, dettato dalle sue ferree leggi interne che a nessun
governante è dato di rovesciare. E la posta in gioco nel caos attuale non è il destino dell’Italia o dell’euro (come i sovranista di destra e di sinistra vorrebbero far credere); è il destino delle masse sfruttate e oppresse di tutto il mondo. Che si trovano sempre più davanti a un’alternativa radicale che esclude terze vie:
o lasciarsi triturare dalla violenta dinamica di decomposizione, dai
crescenti conflitti del sistema capitalistico, fungendo da carne da
macello dei rispettivi capitalismi nazionali; o regolare i conti
definitivamente con questo sistema oramai marcio, e aprirsi la strada
con la lotta rivoluzionaria, verso una nuova formazione sociale fondata
sul possesso e l’uso collettivo dei mezzi di produzione comuni, senza
padroni né sfruttati, senza concorrenza tra lavoratori, libera da ogni
tipo di discriminazione fondata sulla nazionalità, sulla “razza”, sul
genere.
La battaglia senza se e senza ma contro il governo Salvini&Di
Maio e contro ogni forma di servile collaborazione con esso, o di
altrettanto colpevole neutralità, sta tutta dentro questo quadro di scontro di classe globale.
E a deciderne l’esito non saranno certo le elezioni: né quelle locali,
né quelle europee. Sarà solo ed esclusivamente il massimo sviluppo della
lotta di classe degli sfruttati, italiani e immigrati, giovani e meno
giovani.
I tempi e i modi dello scoppio su grande scala del conflitto di
classe sono imprevedibili. Non lo sono, invece, i punti caratterizzanti
di un programma politico adeguato alle contraddizioni esplosive dei
nostri giorni e necessario per dar vita al fronte unico proletario
anticapitalista e internazionalista:
- La battaglia contro le politiche e le ideologie razziste promosse dal governo Lega-Cinquestelle e dall’UE, per l’unità nella lotta tra proletari autoctoni e immigrati sulla base di una piena ed effettiva parità di trattamento, per la regolarizzazione immediata di tutti gli immigrati costretti alla irregolarità, per il permesso di soggiorno unico europeo incondizionato a tutti gli immigrati residenti in territorio europeo e a chiunque sbarca sulle coste italiane ed europee in fuga dalle guerre e dalla miseria provocate dai poteri neo-coloniali;
- La lotta per forti aumenti salariali egualitari, sganciati dalla produttività e dalla redditività delle imprese, che consentano di recuperare il potere d’acquisto perduto nell’ultimo ventennio, e per il salario pieno (il salario medio operaio) garantito a precari e disoccupati finanziato con un prelievo fiscale sulla classe capitalistica;
- La lotta per la riduzione drastica, generalizzata, incondizionata dell’orario di lavoro (a parità di salario), e per il lavoro socialmente necessario, che è l’unica soluzione alla triplice dissipazione di energia vitale degli uomini e della natura, nel super-sfruttamento del lavoro, nella disoccupazione e precarietà di massa, nel saccheggio delle risorse naturali – e come mezzo di contrasto alla crescita delle morti sul lavoro;
- La lotta per spezzare l’oppressione di genere, base fondante del sistema capitalistico, con la sua sistematica violenza, discriminazione, supersfruttamento e svalorizzazione della forza-lavoro e del corpo delle donne, e per opporsi alla demolizione del welfare e all’ideologia familista e reazionaria tipica del governo Lega-Cinquestelle (e non solo);
- La lotta contro il sistema bancario per l’annullamento del debito di stato in quanto debito di classe, un vero e proprio cappio al collo degli operai, dei precari, dei disoccupati, come si è visto pure in questo frangente. Una lotta che va collegata e coordinata a livello internazionale alla denuncia dell’indebitamento privato e del debito estero che sta strangolando i lavoratori dei paesi del Sud del mondo, ed è tra le cause primarie delle migrazioni internazionali;
- La lotta contro il montante militarismo, a cominciare dalla denuncia della riconfermata fedeltà dell’esecutivo Salvini&Di Maio alla NATO e ai suoi obiettivi di guerra nel Mediterraneo, in Africa, nel Medio Oriente e sul fronte russo, per il ritiro immediato di tutte le truppe di stato italiane e dei contingenti privati militari italiani dislocati all’estero, per la drastica riduzione delle spese belliche.
24 ottobre 2018
Il Cuneo rosso – Gruppo comunista rivoluzionario – Pagine marxiste
Grazie, puoi iscriverti tra i followers!
RispondiElimina